Dio solo sa quanto mi stia sul cazzo Severgnini, ma onestà vuole ch’io debba correre in sua difesa a fronte dell’ingeneroso commento che lei, caro Bordin, ha apposto a margine di «Cuore di tenebra» - Il potere senza eredi (Corriere della Sera, 18.11.2013), nel quale le è parso – così ha detto stamane nel corso di Stampa e regime (Radio Radicale, 18.11.2013) – che «il parallelo [tra il protagonista dell’omonimo racconto di Conrad e i leader politici ivi citati (Berlusconi, Bossi, Di Pietro, Grillo, Vendola, eccetera) fosse] un po’ tirato», lamentando che «non si può mettere nello stesso calderone storie politiche così diverse solo perché è venuto in mente un bel paragone».
Sacrosanta osservazione, perché la storia politica di Berlusconi è

diversa da quella di Grillo, e quella di Bossi da quella di Di Pietro, e così via, e tuttavia a me pare evidente che Severgnini si sia limitato a segnalare quell’analogia di tratti caratteriali e comportamentali che sono innegabilmente comuni a tutti i leader citati nel corpo dell’articolo, a cominciare da quella «convinzione di costituire l’inizio e la fine» del movimento politico che guidano. Storie politiche diverse, ma questa convinzione non è comune a Berlusconi, a Bossi, a Di Pietro, a Grillo, eccetera?
Si tratta di leader carismatici, di fatto proprietari dei movimenti politici che hanno fondato, nei quali sono pressoché costanti – inevitabili, date le premesse – le tristemente note psicopatologie di gruppo, che danno ad essi un’impronta settaria. A me pare che Severgnini riesca a cogliere il cuore del problema: «Denaro e carisma creano e mantengono una corte di adoratori e adulatori, disposti a rinunciare alla propria autonomia in cambio di incarichi, benefici e prossimità al capo. Sanno che criticarlo è impossibile: sarebbero disprezzati ed estromessi. […] Gli eredi politici vengono illusi e liquidati uno a uno, appena manifestano segni di indipendenza. […] Non c’è spazio per il pensiero critico, […] solo per devozione, obbedienza, riconoscenza». Questo paradigma non è valido per il movimento politico guidato da Berlusconi, ma anche per quello guidato da Grillo e per quello guidato da Di Pietro?
Provo a porle la stessa domanda in altri termini, augurandomi di non essere frainteso: se tra i leader citati da Severgnini non ci fosse stato anche Pannella, dove avrebbe visto venir meno il parallelo col Kurtz di Conrad? Con Forza Italia, con l’Italia dei Valori, con la Lega Nord, col Movimento 5 Stelle, non siamo dinanzi a «formazioni politiche che dipendono dai destini, dagli umori e dalle risorse di un uomo solo»? E in cosa, di grazia, fa eccezione quella radicale? La storia politica di Pannella sarà senza dubbio diversa da quella di Bossi, da quella di Grillo, da quella di Berlusconi, ma in cosa viene meno l’analogia con essi per ciò che attiene ai connotati della leadership? E sul piano economico? E su quello della vita interna al movimento?
Si tratta di domande che non porrei a nessun altro radicale, almeno non pubblicamente. A lei sì, perché le riconosco un’indipendenza di pensiero e una lodevole temerarietà nel difenderla che sono più uniche che rare nella cosiddetta galassia radicale (cosiddetta, stia in inciso, perché sappiamo bene entrambi che si tratta di un sistema solare: al centro la leadership carismatica di Pannella, che in mano stringe la chiave della cassa in cui da due decenni piovono i finanziamenti pubblici, e attorno le ellittiche di soggetti politici destinati a collassare nel buco nero che si spalancherà alla morte di quello che anche alcuni fedelissimi chiamano «vecchiaccio», almeno quando sono certi che non glielo si vada a riferire). Domande che privatamente, a suo tempo, ho posto anche a molti cosiddetti dirigenti (cosiddetti, stia in inciso, perché sappiamo bene che in realtà nell’area radicale non si muove foglia che Pannella non voglia: in pratica i cosiddetti dirigenti sono quelli – mi consenta il bisticcio – più direttamente diretti). La risposta che ho avuto da loro, tra vertigini di eufemismi e cataratte di malreticenze, è la stessa che lei può permettersi in piena tranquillità. D’altronde sulla questione si è già espresso qualche tempo fa: «Il sogno di un partito radicale senza Pannella è il sogno di uno che ha mangiato pesante: non ha senso. Il partito radicale è lui. Punto» (Il Foglio, 28.10.2004).
E dunque? Cosa si può rimproverare a Severgnini? Ha detto che «personalità, fascino e consapevolezza di sé, diciamo pure egocentrismo, sono necessari per sfondare», ma possono degenerare: mi pare valga per Berlusconi, ma anche per Pannella. Ha detto che, quando questo accade, finisce per prevalere «la scelta di non misurarsi col mondo» che, prima o poi, porta irreparabilmente il leader ad «un tramonto solitario»: mi pare valga per Berlusconi, per Bossi, per Di Pietro, ma anche per Pannella, anzi soprattutto per lui, a meno che non si intenda smentire Severgnini spacciando per centralità della proposta radicale i maneggi con Storace o il disperato tentativo di salire in sella a Bergoglio. Severgnini, poi, ha detto che «il leader carismatico vede l’erede come la prova della propria mortalità politica, e finisce per detestarlo»: mi pare che anche qui Pannella non faccia eccezione, anzi. Per finire ha detto che «“dopo di me, il diluvio!” è un pessimo motto: dopo di sé meglio una pioggia leggera, poi nuovi fiori», che sarà pure immagine fessacchiotta, ma è senza dubbio più sana di quella del reverendo Jones che per eucaristia ai suoi versa l’aranciata al cianuro perché della setta del Tempio del Popolo non resti niente.
Non le invio questa mia: se le arriva, le arriva. Né le chiedo una risposta pubblica, nel caso le arrivasse: suppongo che in ogni caso le causerebbe noie. Nemmeno è necessaria una risposta privata, perché riesco a immaginarne solo due: «così è, e non c’è niente da fare» oppure... Oppure? Ecco, la seconda – nel caso – non mi interessa.
Con rinnovata stima,

premesso che la leadership carismatica e' intrinsecamente destinata a mostrare gli aspetti nell'articolo evidenziati , proprio perche' legata alla persona che negli anni si trasforma e inesorabilmente invecchia. con questo processo si concretizzano atteggiamenti poco politici e piu' umani come la non elasticita' , lo scostamento dalla realta', e comunque la consapevolezza che qualcosa che si e' creato e di cui si e' stati leader un giorno restera' orfana ,
qualcuno reagisce facendo finta di ignorare l'appuntamento fatale , berlusconi preso da una serie di altri eventi personal-penali lotta per la propria persona facendo politica ,cioe' esprimendo la politica del suo partito che e' sempre stato PER una persona , lui stesso ( berlusconi nel 94 entro' in politica motivato dal timore di espropri proletari della sua roba da parte dei comunisti non piu' arginati dalla dc).
gia' con queste premesse , a mio parere, non si presentava molto bene come uomo (leader?) della rivoluzione liberale ma , ahinoi (radicali) qualcuno volle crederci....(gia' ..c r e d e r e)
bossi e' un niente politicamente parlando , la lega che ha creato e' sorta sulla base in gran parte di pulsioni di stampo nordistico per non dire razzista . il federalismo non sapevano neanche dove fosse di casa , e della loro lunga presenza nella "roma ladrona "sono riusciti a tentar di portare un pezzo di stato centrale in alcune citta' del nord (le sedi al nord di alcuni ministeri mi pare a monza, peraltro mai funzionanti ). nella lega era presente una quota ristretta di elaborazione politica liberale , ma non libertaria , e presto cedettero per convenienza alla suggestione delle "radici cristiane dell'europa" . ed e' rimasto un po' di squadrismo borgheziano, apparatismo maroniano , e amarezza interna per essersi accorti che si sono partitocraticizzati in pochi anni a suon di ...diamanti.infatti in un tempo relativamente recente di un partito nato nel secolo scorso sull'onda del post mani pulite della leadership di bossi e' rimasto ben poco.
di pietro va capito poveretto , lui e' passato dall'essere il salvatore della patria , gliel'avevano fatto credere tutti durante mani pulite , ad essere il nulla in poco tempo. anzi, direi di piu', data la manifesta incapacita' di scegliersi collaboratori affidabili (resta memorabile la pochezza delle troppe persone che ha fatto entrare in parlamento) se non avesse incentrato l'idv tutta su di se' sicuramente non sarebbe durata piu' di una settimana. tuttavia va detto dopo la batosta che gli ha dato report avrebbe potuto fare la vittima e crearsi il partitino orticello 2x2 e invece s'e' messo da parte. e seppur oggi l'idv non sia in parlamento come non ci sono i radicali (o forse no ), a prescindere dal fatto che non si sa cosa sia ,dopo la fine del grande inganno di farsi passare per uomo di sx, be' un congresso l'hanno fatto e una ipotesi di futuro la percorrono.no di pietro non lo definirei leader carismatico.

grillo e' un'altra cosa ancora , in tal caso penso che la leadership sia condivisa con casaleggio , c'e' molto di commerciale e meno di politico. mi sembra che i cd grillini siano migliori dei due leaders non a caso ci sono state molte defezioni . anche li c'e' un grande inganno alla base: quello che un partito possa esser sostituito da un blog . la funzione di garanzia di grillo come proprietario della roba gia' da adesso , cioe' essendo il m5s in giovane eta' , sta stretta a molti dei cd grillini. e prevedo che o cambieranno qualcosa o andranno incontro all'autodistruzione a breve.
vendola vabbe'. pannella ne e' ossessionato, ma e' veramente una forza residuale e lui non e' riuscito certo nel suo miracoletto personale , cioe' di far credere che dalla vicenda ilva politicamente sia esente da responsabilita'. e' il nulla , da far venire la nostalgia di berliguer e bertinotti. a ma rco macano molto gli interlocutori comunisti con cui misurarsi pure nella grande distanza ma nel grande rispetto. vendola puo' affabulare qualche predisposto alla facile ipnosi mentre recita nelle sue comparse mediatiche facendo tesoro del suo amore per la letteratura spagnola(ipse dixit) . ma definirlo un leader carismatico mi pare veramente eccessivo.
per il mondo radicale e pannella le cose si fanno maledettamente piu' complicate
il mondo radicale e' negli ultimi 50 anni stato identificato intorno alla figura decisamente carismatica di marco pannella .un leader che grazie al suo acume , la capacita' di guardare lontano espressa almeno fino agli anni 90 e' riuscito anche lui in un miracolo: essere leader carismatico in un partito laico o laicista. ossia a compensare ampiamente il peso di una grossa contraddizione interna. ecco la differenza con berlusconi e il pdl ,ove invece non si e' mai teorizzata la non personalizzazione,ma anzi si e' perseguito l'asservimento, del partito a berlusconi poi tutto il resto viene da se .
nel caso di marco pannella mi sembra appropriato di parlare di leader carismatico , ha segnato un epoca e come tale incarna anche tutte le degenerazioni che in apertura ponevo riguardanti la leadership carismatica.per esempio il solo particolare di essere , anche con un certo compiacimento, incapace, volontariamente, di utilizzare gli strumenti digitali lo pone di fatto al di fuori di strumenti di percezione della realta' politica . non no se sia cio' piu' frutto di una degenerazione umana o una posizione politica , forse e' piu' che altro un'incomprensione dell'opportunita' che internet rappresenta che sfocia nell'errore di identificarlo con alcuni suoi effetti collaterali e inoltre l'incomprensione di utilizzi che rispondono a certi parametri non propri dell'ortodossia comunicativa del 900. ma c'e' forse in fondo anche la convinzione che hanno molti ad una certa eta' che non ci sia piu' altro da imparare e conoscere nel settore in cui si e' operato per cosi' tanti decenni.
oltre a questo c'e' il fenomeno della corte oggi "squadra" (termine coniato in una recente Direzione dai fedelissimi per autodefinirsi )che e' piu' un fenomeno umano che politico. ispirato da entrambe le parti :da parte di marco che comunque ha necessita' di collaboratori e li sceglie tra coloro che meglio assecondano tutte le sue evoluzioni, e da parte di costoro che si spartiscono spazi di micropartitocrazia interna, gli fanno arrivare alle orecchie informazioni parziali , scelte ad arte, di fatto prevedendo le sue reazioni in base alle sue connotazioni caratteriali.

la questione della leadership in casa radicale e' da sempre aperta perche' tutti sono consapevoli della contraddizione di cui ho parlato sopra, ma anche da sempre sopita per due ordini di motivi: 1 - i piu' vicini a marco godono di una luce riflessa in termini di microvisibilita' che un cambio di leadership non assicurerebbe e quindi vige il dogma- finche' c'e' marco va bene cosi'...- molto italiano , molto , oserei dire, anche egoistico , poco laico e mi fermo per carita' di patria. 2- c'e' l'altro ostacolo determinato dal non trovare nell'area radicale ora e adesso qualche esponente del calibro del marco pannella degli anni d'oro. riflessione castrante anche questa ogni ipotesi di cambiamento.
ma non se ne esce sopratutto perche' nessuno delle persone che marco ascolta pone a lui l'opportunita' di un avvicendamento e anche perche' e' un paragone impari e scorretto.
a questo si aggiunga,per completare il quadro, una situazione gravissima del contenitore partito (?)strutturato in mille estensioni fuori da ogni controllo e sopratutto di difficilissima comprensione per il 90% della persone. tutto incentrato sul totem PRNTT concreto come l'araba fenice.
conseguente alla leadership carismatica c'e' poi la gestione delle cose materiali riconducibili al movimento. la gestione di cio' da parte di marco e' storicamente stata vissuta come elemento di garanzia , quasi che l'efficienza si esprimesse solo con l'assenza di disonesta'. ma il tempo passa e l'impostazione novecentesca si riflette anche su certe scelte gestionali purtroppo non efficienti e non rispondenti agli standard di trasparenza che oggi la politica esige che sono frutto di strumenti gestionali ,come la lista marco pannella, che a mio parere sono carenti di trasparenza.
purtroppo in casa radicale la questione e' molto piu' complicata che nel pdl, la leadership carismatica ha pervaso tutto, anche i muri di torre argentina, e' stata bàlia per molti leader radicali che pur avendo posizioni contrastanti a quelle di marco per debito umano non si metterebbero mai contro marco. e forse marco lo sa.
penso che dovremo sorbirci le evoluzioni della "squadra" e cercare di non cadere nel profondo fossato di incomprensione politica e incomunicabilita' che e' stato scavato.

certo il paragone col colonnello kurtz un po' mi angoscia perche' non vorrei che mai nessuno uccidesse politicamente (altro e' .... OT anche se marco prepara il dossier ...) marco pannella , tantomeno un willard di passaggio che poi venisse venerato come liberatore ... e magari fosse assalito dalla tentazione di succedergli.

purtuttavia speriamo di non morire vecchi senza mai esser diventati adulti ( non e' mia )

 

Mi consentirai, caro Colacione, di distillare tanto verbo? Bene, tu intendi ribadire che i leader politici citati da Severgnini hanno storie politiche diverse? Chi osa negarlo? Tuttavia, fossi in te, sarei meno ingenuo nel recepire quella di Pannella così come ti è stata offerta da una pubblicistica pigra e conformista. Anche - direi soprattutto - negli episodi topici della mitopoietica radicale, e parlo del divorzio e dell'aborto, uno studio serio dei contesti storici leva molto del merito che Pannella e i radicali si sono intestati: quelle furono vittorie di una nazione, Pannella si limitò a montarvi sopra e a cavalcarle, da astuto parassita. Ma la questione, come peraltro ho scritto nel post, lascia d'un canto le storie politiche dei leader carismatici e proprietari, per appuntarsi invece sugli elementi che sono comuni, e distintivi, nelle formazioni politiche che guidano. Elementi che, a tuo piacimento, puoi sottoporre ad un'analisi di tipo psicologico o di tipo sociologico, ma che si riveleranno, in ogni caso, "momenti" (leggi il termine come se lo trovassi in un Trattato di Fisica) di patologia relazionale. La leadership carismatica è una iattura, caro Colacione: sempre. E anche quando promette di essere fattore catalitico di potenzialità latenti, anche quando mantiene questa promessa, genera irrimediabilmente involuzione sul piano politico e regressione su quello antropologico. In tal senso, una leadership carismatica e proprietaria è patente contraddizione - vera e propria contradictio in adiecto - se immaginata o, peggio ancora, realizzata in un movimento politico che ha per orizzonte il pensiero liberale. Contraddizione che d'altronde si appalesa costantemente in quadretti ridicoli, quando non grotteschi, genuini apologhi dello smarrimento della ragione e del decoro. La storia radicale - e parlo del Secondo Partito Radicale (quello che nasce nel biennio 1962-63), che Mario Pannunzio aveva già intuito nel 1959 come "alleanza dei cretini" - si offre come esemplare paradigma di questo smarrimento: per trasformare la "cosa" liberale in "cosa" pannelliana occorre imbastardire Salvemini con Capitini, annacquare Rossi con Mounier, scimmiottare Gandhi, Debord e Pasolini, nel tentativo - in parte riuscito, anche se con esiti tra il tragico e il comico - di proporsi come eresia sporulata in ambito modernista per declinare il fraintendimento del Concilio Vaticano II in cazzeggio. Pannella è un avventuriero, un picaro. Ha la forza dell'abissale ignoranza di chi cita piluccando, e soprattutto, fino a quando l'ha avuto, ha saputo usare il naso per sentire che aria tirava. Oggi è una macchietta, ricorda il secondo tempo del Casanova di Fellini. Millantatore nato, cinico opportunista, si muove nella brodaglia del sistema partitocratico che lo nutre dei cataboliti di risulta. Mettigli d'attorno quelle esangui rappresentazioni della pulsione gregaria che rispondono ai nomi di Bandinelli, Vecellio, Angioli, Di Leo, ecc. e ottieni la corte dei miracoli di Via di Torre Argentina. Al cerchio subito esterno mettici i militonti del fideismo ottuso. Poi prendi i milioni di euro che lo stato ti concede in finanziamento pubblico, mettici d'accanto il poco che racimoli con le iscrizioni e le sottoscrizioni, usalo per costruirti il fondale di cartapesta culturale, il resto vada in mance ai factotum di retrobottega come Rovasio e Cerrone, e, voilà, hai il buco del culo del radicalismo: lì dentro puoi pure osare gridare "Viva il Papa!", tanto sei già nella merda.

Luigi Castaldi (Malvino)